Sergio Micheli

Sergio Micheli

docente di Storia e Critica del Cinema all’Università di Siena

GOTICO SIDERALE E RICERCA DELL'ESSERE

Quante volte l'immagine sullo schermo ha fatto pensare a certi esempi di arte figurativa. E, di contro, quanto l'arte figurativa ha richiamato la forma del cinema dove, per natura, la figura appare in movimento; e non solo dopo l'invenzione della macchina da presa (come nel caso della pittura futurista) ma, come si sa, assai prima. Si tratta di quell'artista che non si è posto solo il problema di rappresentare ma quello di raccontare. Alla forma immobile, piena di simboli e di significati, bloccata entro uno spazio ristretto e canonico, si è sostituito, come è facile rilevare in tante esecuzioni nella storia dell'arte, l'assieme articolato nell'ambito di una vera e propria azione in atto. Di prove ve ne sono, appunto, tante. Basti avere presente le scene pompeiane della Villa dei Misteri dove la giovane che deve essere iniziata ai giochi dionisiaci appare più volte nel dipinto e a fasi che, dopo la premessa, sottolineano lo sviluppo della narrazione fino alla conclusione. Ma anche in epoca medievale, tipica della fissità dei soggetti, la pittura si fa racconto come nel caso delle tavolette dei miracoli nella splendida tavola del Beato Agostino Novello di Simone Martini; così nel Sassetta dello Sposalizio di S. Francesco con la Povertà, l'Ubbidienza e la Castità. Oppure, più tardi, quando la rappresentazione assume forme più libere e sciolte, ad opera di un Masaccio (v. l'esempio tipico del Tributo nella Cappella Brancacci), quindi di un Sodoma (v. gli affreschi di Monteoliveto Maggiore) e così via.

Data questa premessa, se ci poniamo davanti alle opere di un pittore come Enzo Santini, non tardiamo ad avvisare sensazioni e stimolazioni che trovano in questi precedenti non poche connessioni. In che senso? Intanto non vi è dubbio che una costante della pittura di Santini sia da ricercare in una sorta di vigorosa tensione degli elementi figurativi che assolve ad una funzione la quale tende ad accumulare energia cinetica in un contesto di carattere rappresentativo, non narrativo. Dimodoché in questo senso, cioè nel farsi rappresentazione, la linea di Santini richiama direttamente gli stilemi e le concezioni, in un certo qual modo, mutuate dalla pittura, certo di profonda imprimitura nella coscienza dell'artista senese, del periodo gotico.

Il recentissimo pezzo a encausto (poiché svariate sono le tecniche pittoriche di Santini), che raffigura il volto di Santa Caterina, invita al movimento a causa di una particolare geometrica dell'insieme dove le linee curve, date dalla posizione della testa e del fondale, sembra alludano a qualcosa che esista oltre, vale a dire a quello spazio che sta al di là (o aldilà) e compreso in un probabile cerchio da completare perciò da immaginare. Ed è proprio il cerchio, nell'accezione più ampia, l'altro segno ricorrente nella pittura di Enzo Santini. Certo non è tanto il richiamo diretto a questa forma perfetta come nel caso del sole, o meglio, della luna: elementi, questi, puntualmente presenti in molte opere di Santini (in particolare nelle vedute di città). Il cerchio, con le sue infinite e svariate modulazioni centripete e centrifughe, si fa ossatura, tratto istintivo, impalcatura e griglia della struttura portante dei suoi quadri. Se, quindi, la figura circolare rappresenta, come è noto, la forma geometrica più perfetta capace di farsi simbolo di simmetria perciò modulo di valenza estetica, essa si profila con altri non meno profondi significati. I corpi celesti che Santini svuota della loro materia, bianchi e freddi, stagliati contro un azzurro siderale e che, in un clima di gelido silenzio, sembrano rischiarare la città ("Coltivate dalla luna le campagne" scriveva Pasolini in Profezia), entrano subito in sintonia con quel senso di circolarità teorizzato in tanta letteratura verista. Scattano allora le molle che, insieme al più immediato fenomeno di empatia, sollecitano impressioni proprio intorno ai fatti dell'esistenza. Mentre una sensazione che pesca pessimismo dalla nostra coscienza, pare configurare una umanità fatalmente chiusa entro un meccanismo ciclico senza la possibilità di rompere il cerchio di un'esistenza monotona: come se dopo una fase ne iniziasse un'altra per ricominciare tutto dal punto di partenza. Ma il collegamento alla connotazione gotica nell'arte di Santini, se trova allegazioni abbastanza dirette come nel caso della simbolicità della figura (perfino rappresentata senza peso perciò senza ombre ed opalescente), esso diventa esiguo se si rilevano, da una successiva riflessione, oltre all'energia d'impulso tipica dei volumi rappresentati, quei dati che si associano a forme di espressione connesse a quella surrealtà della "cosa in sé" o alla metafisica della "ricerca dell'essere". Le città proposte da Enzo Santini, in certi casi con una tecnica di tipo gestuale, segnica (viene in mente Mathieau, Hartung, Capogrossi), concepite, a partire da una spinta tipica dell'automatismo, senza progettualità, in libera esecuzione di circoli e spirali per poi passare a selezionare accogliendo ed escludendo il segno tracciato, stanno a dimostrare come il lavoro che ne deriva, evidentemente a struttura caratterizzata da complesse e arcane sinuosità labirintiche, risponda ad una sensibilità immediatamente cooptante e coinvolgente. È il caso canonico del segno che anticipa il significato e dove l'impostazione semantica viene sistematicamente ad essere invertita: il denotatum, affatto dettato da preordinazione e da razionalità, appare disinvoltamente anticipato dal libero segno. Del resto quelle torri che sovrastano l'assieme di base, se possono riecheggiare i castelli del Guidoriccio, certo, così nette e bianche sullo sfondo turchino del cielo, sembrano anelare ad una libertà tendenzialmente e strutturalmente negata proprio per via della cerchia delimitata dalle mura. E per Santini il modello è certamente Siena, è San Gimignano, è Montalcino, è, insomma, la Toscana delle colline.

È altresì palese, a ben osservare, come queste torri significhino legame fra cielo e terra, punte di fotosintesi volte a carpire l'energia solare-lunare per alimentare la base, la terra, le radici. È in questo senso che la componente metafisica nell'arte di Santini assolve la sua funzione la quale, al di fuori di ogni significato di ordine trascendente (sulla linea, per esempio di un Jaspers), pare assumere valenze più vicine a quel "movimento di rinascita" propugnato da Sartre. Che la forma del realismo nell'arte figurativa di oggi abbia perso, dopo l'invadenza esaustiva di un'altra arte visiva (o audiovisiva) come il cinema, realista per elezione in quanto fotografia (in movimento), la sua importanza e che, quindi, proprio la pittura ritorni ad esprimersi come sublimazione ed elaborazione del reale, può apparire oggi legittimo e necessario. E allora se le cose e i corpi dei quadri di Santini si mostrano diafani e liberati dalle leggi della gravità, se la loro significazione appartiene ad una realtà (o transrealtà) metastorica e metaforica, tutto ciò significa consapevolezza del mondo di oggi oltre che cosciente adesione alle istanze del presente. Le ansie, le incertezze, le angosce che assalgono ed agitano l'esistenza quotidiana e che, del resto, diventano motivi di profonda riflessione nell'arte contemporanea, sono all'ordine del giorno. Si pensi alla disperata visione che riescono a presentare, sulla condizione dell'uomo immerso nella società selvaggiamente industrializzata e consumistica, artisti del cinema come Antonioni, Fellini, Scola, i Taviani...

È la stessa visione che propongono le opere di Enzo Santini, cariche di significati e di tensioni misteriose; significati e tensioni mutuate, o meglio, riproposte sulle tracce di un inquietante, surreale post-moderno.