critico d’arte
Che si tratti d’un paesaggio, d’una città, d’un uomo, d’un animale o d’un fiore, ciò che caratterizza l’arte di Enzo Santini è questo modo passionale che ha provato a raggiungere fin nel più intimo dell’essenza degli esseri e delle cose. Utilizzando come egli fa’ tutte le risorse e le multiple varianti della pittura e della litografia, a forza di dissacrare, di volere sapere tutto dei soggetti che lo interessano egli ne esprime un’angoscia di cui tutte le sue opere sono impregnate; un’angoscia che gli è propria, una sorta d’inquietudine metafisica che lo incita a superarsi continuamente per giungere a questa perfezione ideale alla quale egli aspira. Da qui un rigore tecnico che, senza nuocere, tempera la fantasia del suo universo immaginario.
Allora tutto diviene con lui una lotta entro questa immaginazione debordante che lo spinge a creare dei personaggi strani come delle creature dai piedi palmati, armate di artigli, che in uno spazio extra terrestre tratteggiano non si sa quali figure di balletto e l’autorità d’un tratto che sa imporre a ciascuna di esse le forme stesse le più bizzarre, il posto e l’attitudine che gli convengono purché l’insieme mantenga un ritmo armonioso. Ciò è ancora più sbalorditivo nel “Combattimento di gladiatori“ dove i corpi avvinghiati in una furia selvaggia finiscono per annientarsi a vicenda senza perdere per questo la loro apparenza umana nella mescolanza delle loro membra deformate dallo sforzo.
Santini eccelle nel suggerire delle visioni di cui non fa che evocarne l’aspetto ma che appena nate s’impongono come realtà. Questa città fra altre che tutto d’un colpo si erge ieratica con i suoi bastioni dal profilo così netto, i suoi spazi ben disegnati, le sue torri geometriche, le sue innumerevoli finestre, le sue scale multiple che tendono tutte verso il cielo, questa città che appena appare si tiene già sulla difensiva senza che si sappia quale minaccia pesa su di lei; questa città che ha un segreto di cui voi non avrete mai la chiave ma che giustamente a causa di questo mistero rimarrà incisa nella vostra memoria. Come resterà ugualmente incisa l’immagine di questo palazzo già circondato dalle acque i cui piccoli archi s’aprono sul mare lasciando intravedere rasente l’orizzonte degli uccelli nati nel vago che potrebbero essere il simbolo della speranza. Tutto è messaggio in quest’opera così eloquente dove niente ti lascia indifferente soprattutto per gli animali di cui Santini accampa le attitudini le più caratteristiche con tanta maestria. Dall’“Omaggio a Goya“ dove il superbo toro, l’occhio impavido, contempla piegato ai suoi piedi il cavallo che niente ha perduto della sua eleganza di razza per essere stato vinto, al “Gallo combattente“ che fieramente eretto fa drizzare le sue penne. Passando da un paesaggio alla bellezza pacifica di cui un lembo di azzurro ha conservato, grazie ad una certa astuzia, la forma del toro, Santini ha usato tutti i segreti dell’arte per proporre una straordinaria varietà d’immagini l’una diversa dall’altra.
Utilizzando tutti i processi conosciuti e inventandoli senza posa di nuovi, passando con felicità dai colori i più sfumati a un disegno più forte, giocando con la luce dalla quale egli fa scaturire delle forme costantemente rinnovate, vero mago di un’arte così ricca di possibilità le più diverse, egli ha trovato risposta alla maggior parte dei suoi problemi con l’impiego di tecniche sue originali alle quali egli confida tutti i sogni della sua anima appassionata dalla poesia la più pura.